Fin dalle sue origini Venezia ha avuto nell’elemento acqueo in cui si specchia il suo doppio, restituendo a chi la guarda un’altra immagine di sé mutevole, impalpabile, irraggiungibile perché sempre diversa, sfuggente, in continuo dissolvimento. Impermanenza è termine che nel buddhismo definisce la natura transitoria e momentanea di ogni esistenza fenomenica. Il contrario di permanente, eterno. Venezia è una città fragile, eterna e impermanente allo stesso tempo, almeno nella percezione di chi la vive, di chi ci è nato e la vede mutare in continuazione. È una città vibrante come il fluttuare delle acque che la circondano e ne restituiscono il miraggio, ma che da sempre, oltre a proteggerla, la minacciano facendone temere la catastrofica scomparsa. L’acqua simboleggia i moti alterni dell’emotività, la quiete e la tempesta, tutto ciò che sfugge alla razionalità del pensiero. L'acqua ci rimanda indietro il riflesso della realtà, plasma con morbidezza ciò che è rigido e spigoloso, modifica le forme e ne crea di nuove, ci mostra qualcosa che, forse, è solo dentro di noi. Nell'acqua possiamo vedere le cose più strane, le nostre paure, i nostri incubi, i nostri ricordi, i nostri sogni. Nelle mie visioni Venezia è La città impermanente; non una città reale in senso stretto, ma uno spazio illusorio, onirico; è una città dell’anima, espressione dell’inconscio e di memorie ancestrali. (2020)
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